A DEHEISHE E BALATA, GIOVANI FOTOGRAFI OLTRE LE FRONTIERE
I palestinesi dei campi profughi vogliono non solo il soddisfacimento dei bisogni primari, ma anche poter recuperare dignità e potenzialità espressiva
SERVIZIO DI ILARIA LUPO– Nel mese di maggio Fotografi Senza Frontiere ha realizzato due laboratori nei campi profughi di Deheishe a Betlemme – presso il centro Ibda’a – e a Balata, campo di Nablus, coinvolgendo ragazzi sotto i 14 anni.
Non è la prima esperienza palestinese di FSF, un’agenzia onlus la cui missione è implementare workshops in zone del mondo con problemi di emergenza. Emergenza considerata non solo nei bisogni primari, ma anche nella necessità di recuperare dignità e potenzialità espressiva. L’obiettivo dei progetti è la sostenibilità di lunga durata. Dal 1997 infatti FSF ha dato vita a laboratori fotografici in Nicaragua, Uganda, Saharawi e Palestina allo scopo di renderli indipendenti e gestiti dai giovani locali.
Lo scorso febbraio è stata organizzata Auction4Action, un’asta presso Sotheby’s a Milano permessa dal contributo di moltissimi fotografi italiani a sostegno delle loro attività. Grazie ai ricavati sono partiti quindi nuovi laboratori, tra cui quello palestinese, che raggiungerà anche Gaza nel mese di settembre.
Il progetto è stato presentato il 25 giugno nella sede milanese di Fotografi Senza Frontiere.
Paola racconta con passione i risultati ottenuti in questi anni e anche gli esiti eccellenti come il caso di Saul, ex ragazzo di strada nicaraguense che ha vinto una borsa di studio in fotografia a Milano e ora è un fotografo e dirige il laboratorio in Nicaragua.
Uno dei fattori che Paola descrive come fondamentali è lo scambio con gli studenti, che – sebbene alle prime armi – spesso offrono uno sguardo originale che è materia di apprendimento per gli stessi “maestri”. Paola si relaziona ai lavori prodotti nei laboratori con la stessa professionalità che riserva agli autori di alto livello. Nella mostra e nel catalogo per i dieci anni di FSF i lavori sono stati quindi equiparati e mescolati, annullando la distinzione professionale.
Paola spiega che la potenza delle loro immagini è dovuta all’autenticità della loro esperienza, che li porta ad affrontare temi rilevanti con un linguaggio essenziale e diretto, che spesso supera quello degli stessi fotoreporters. “Puoi essere padrone di un linguaggio quando sei forte del tuo messaggio e quando la fotografia risponde a un’esigenza vera di narrare”. Giorgio si dice colpito da come proprio nelle zone del mondo più battute dal reportage, i giovani locali siano capaci di rivelare la propria verità con un linguaggio naturale che nulla ha a che vedere con gli stereotipi delle immagini giornalistiche di cui essi stessi sono i soggetti.
Giorgio frequenta la Palestina dal 1999 e nel 2004 si era svolto il primo laboratorio a Dheishe. Nel 2005 ha realizzato un libro sul Muro (Al Jidar) e racconta come proprio l’apporto dei ragazzi sia stato determinante per la sua ricerca. “Il Muro non sono dati e statistiche, ma una condizione interiore, è uno strumento che mira a mortificare e annientare psicologicamente” spiega Giorgio.
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