VA PENSIERO



Va, pensiero, sull'ali dorate;

Va, ti posa sui clivi, sui colli,
Ove olezzano tepide e molli
L'aure dolci del suolo natal!
Del Giordano le rive saluta,

Di Sïonne le torri atterrate...
Oh mia patria sì bella e perduta!
Oh membranza sì cara e fatal!
Arpa d'or dei fatidici vati,

Perché muta dal salice pendi?
Le memorie nel petto raccendi,
Ci favella del tempo che fu!
O simile di Solima ai fati

Traggi un suono di crudo lamento,
O t'ispiri il Signore un concento
Che ne infonda al patire virtù! (×4 volte)

Nabucco è una celebre opera di Giuseppe Verdi. E’ stata presentata, per la prima volta, al Teatro alla Scala di Milano, il 9 marzo 1842.
Quest’opera parla della prigionia degli ebrei e della loro oppressione, ma questa oppressione era la stessa che Verdi vedeva per gli italiani prima dell’unificazione.

Gli Ebrei a Gerusalemme si lamentano per il loro destino perché sono stati sconfitti da Nabucco, il re di Babilonia.
Zaccaria è pontenfice di Gerusalemme e cerca di sollevare l’umore degli Ebrei. Fenena, figlia di Nabucco, viene catturata e Ismaele, nipote del re di Gerusalemme, la controlla.
Fenena, però, è innamorata di Ismaele e anche lui di lei e cercano di fuggire insieme. Arriva in quel momento Abigaille, l’altra figlia di Nabucco e anche lei innamorata di Ismaele, e quando scopre la loro fuga minaccia Fenena.
Fenena diventa governatrice della città di Gerusalemme e si converte all’ebraismo liberando tutti gli schiavi ebrei. Abigaille entra con la forza in Gerusalemme con un piccolo esercito. Ma arriva anche Nabucco che riprende la corona e maledice il Dio degli Ebrei. Appena dice queste parole viene però fulminato e cade a terra.
Abigaille prende la corona, si dichiara nuova regina e condanna a morte tutti gli Ebrei.
Nabucco sa che così morirà anche sua figlia Fenena e si converte anche lui all’ebraismo pregando Dio di aiutarlo. Una parte dell’esercito quando vede che Nabbuco sta di nuovo bene lo aiuta contro Abigaille.

Nabucco riprende la corona e Abigaille si avvelena chiedendo perdono. Zaccaria predice che Nabucco governerà su tutti i popoli della terra.

Il libretto dell'opera Nabucco, che all'inizio e per due anni, si intitolava "Nabuccodonosor", venne scritta da Temistocle Solera che l'aveva liberamente tratto dall'omonimo dramma di Anicet-Bourgeois e Francis Cornue, andato in scena nel 1836 a Parigi, e dall'omonimo balletto che il coreografo Antonio Cortesi ne aveva ricavato per la Scala di Milano.

Il libretto, all'inizio, venne respinto da Giuseppe Verdi che stava vivendo i peggiori anni della sua vita e che era sul punto di abbandonare la musica.

Nel 1836 il giovane compositore aveva sposato Margherita, la figlia del suo protettore e mecenate Antonio Barozzi. nel 1837 era diventato papà della piccola Virginia, l'anno dopo era nato l'atteso erede maschio che venne chiamato con l'impegnativo nome di Icilio.

Un destino funesto si accanì presto sulla famiglia Verdi: a distanza di pochi mesi l'uno dall'altro, morirono la bambina, il maschietto ed alla fine anche la moglie Margherita, lasciando il povero compositore alle prese con "Un giorno di regno", che, massimo dell'ironia, era un'opera buffa che naturalmente si rivelò un insuccesso.

Sostenuto dal suocero e dal suo impresario, Verdi alla fine accettò di mettere in musica il Nabuccodonosor, il primo grande successo del compositore che, messo in scena il 9 marzo del 1842, contò sessantacinque repliche nello stesso anno.

Il Nabucco rappresentato in innumerevoli teatri italiani e stranieri è ancora un'opera fra le più rappresentate anche se presenta molte difficoltà per gli interpreti.

Il librettista Temistocle Solera divise l'opera in quattro parti, ognuna con un titolo, come i capitoli di un romanzo.

Le principali particolarità lessicali di Va pensiero riguardano la presenza di termini aulici, come voleva la prassi di prosa e poesia ottocentesca. In particolare: clivi, olezzano, membranza, favella, fatidici, traggi, concento, nonché i nomi propri Sionne e Solima, dove Sionne indica la fortezza di Gerusalemme, situata sul monte Sion, mentre Solima deriva dall'antica denominazione greca della città, anche se c'è un'opinione minoritaria che sostiene che "Solima" sia una forma poetica di "Shlomo", cioè Salomone, ai cui fati (cioè profezie, Salomone era il "re saggio" per eccellenza) si farebbe riferimento.



Lo stile elevato corrisponde non solo ad una scelta lessicale classica, di sapore latino, ma è tesa anche a rispettare la prosodia, la lunghezza dei versi e le rime, che contrassegnano la composizione.

L'inno sembra costruito specularmente: i primi quattro versi (1-4) e gli ultimi quattro (13-16) sono raccolti in una frase unica, mentre le quartine centrali (vv. 5-7 e 11-12) sono composte da più proposizioni esclamative o interrogative retoriche.

Come inno, genere di lunga tradizione, il componimento deve rispettare una struttura metrica ben nota nella letteratura italiana ed europea. Si tratta di 16 decasillabi, divisi in 4 quartine. Le strofe presentano un ritmo anapestico, con gli accenti che cadono sulle sedi 3-6-9. È per questo che al verso 13 la parola "simile" si legge con l'accento piano sulla seconda sillaba ("simìle") anziché con l'accento sdrucciolo sulla prima.

Secondo la prassi della poesia per musica, l'ultimo verso di ogni quartina è tronco, cioè costituito da nove sillabe metriche.

Tale schema, impiegato anche nelle canzonette da melodramma, è quello proprio dell'ode, che condivide con l'inno un rigido codice, rappresentando un modello riservato a testi "alti", per significato e valore civile e religioso, epico e patriottico. Il tono oratorio è perciò solenne e ingiuntivo, destinato ad ottenere la persuasione e trascinare l'ascoltatore all'azione. Il testo è ricco perciò di interiezioni ("Oh mia patria", "Oh membranza"), di esclamazioni ("Va', ti posa", "saluta", "raccendi", "ci favella", "traggi", "t'ispiri").

Molto classicheggianti sono anche le personificazioni indirette del pensiero e dell'arpa, per mezzo dell'apostrofe, una figura retorica volta ad indurre una forte emozione e un coinvolgimento intenso. La relazione comunicativa che si instaura è espressa dai pronomi di persona. Il coro si rivolge col "tu" prima al pensiero, la patria e la membranza, poi all'arpa e solo alla fine assume il plurale della prima persona: "ci favella, ne infonda".

Alle scelte retoriche e lessicali si accompagnano una solida architettura sintattica e un'attenzione particolare all'eufonia, che innalza ancor maggiormente l'effetto complessivo del componimento, in primo luogo per mezzo dell'alternanza delle rime.
In ciascuna quartina, con l'eccezione della seconda, i due versi centrali rimangono unicamente tra loro, mentre il primo e l'ultimo rimangono con i versi rispettivi della quartina seguente. Solo nella seconda quartina è il secondo verso a rimanere col primo della precedente. L'effetto è un legame sonoro interno di ciascuna coppia di quartine.

Il coro è stato interpretato come una metafora della condizione dell'Italia, assoggettata all'epoca al dominio austriaco; la censura di Vienna avrebbe certamente impedito la circolazione del brano, e da ciò scaturisce la scrittura allegorica, che nel paese dell'Arte non può che essere interpretata nel modo corretto; è stato proposto anche come inno nazionale italiano, con alcune modifiche testuali, o col testo originale, ritenuto però poco adatto perché è il canto di un popolo diverso dall'italiano (gli antichi ebrei) e perdipiù sconfitti. Comunque, viene intonato al concerto di Capodanno dal teatro La Fenice di Venezia, come penultimo pezzo, prima del Libiamo ne' lieti calici, altro celebre brano dei melodrammi verdiani.
L'anarchico Pietro Gori scrisse sulla stessa musica del Va, pensiero, l'Inno del Primo Maggio.
Al funerale di Giuseppe Verdi, per le vie di Milano, la gente intonò il «Va, pensiero» in cori spontanei.
È stato adottato (talora modificandone il testo) dagli esuli istriani, fiumani e dalmati come inno del loro esodo dalle terre "perdute" dopo il secondo conflitto mondiale.
Il cantante Zucchero l'ha reinterpretata in una versione bilingue italiano-inglese, con le parole modificate in più parti. Con la quale lo stesso Zucchero arriverà sesto in Italia, tredicesimo in Finlandia, diciassettesimo in Austria e Svezia, diciannovesimo in Svizzera e cinquantaduesimo in Germania. Ottenne il disco d'oro in Italia.
E' presente nel film Inferno di Dario Argento nella scena dell'uccisione di Eleonora Giorgi e Gabriele Lavia.
E' stato utilizzato nella seconda stagione della serie TV statunitense The Leftlovers.



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