Le Maschere Veneziane




Il Carnevale di Venezia è uno dei Carnevali più conosciuti e ammirati grazie alle splendide e misteriose maschere che passeggiano silenziose tra gli antichi campi e nelle calli di Venezia.

“Buongiorno Siora Maschera”, lungo le calli, per i canali e nei listoni era questo il saluto: l’identità personale, il sesso, la classe sociale non esistevano più, si entrava a far parte della Grande Illusione del Carnevale in un posto, unico al mondo, dove tutto può accadere, dove ogni scorcio non cessa di incantare.

Nella cultura veneziana con il termine "maschera" si indica l'attività di "mettersi barba e baffi finti" e "maschera" era anche il soprannome dato alle donne che si travestivano da uomini e agli uomini che si travestivano da donne. Ben presto la maschera divenne simbolo della libertà e della trasgressione a tutte le regole sociali imposte dalla Repubblica Serenissima a Venezia.
La maschera, simbolo della necessità di abbandonarsi al gioco, allo scherzo e all’illusione di indossare i panni di qualcun altro, esprimeva quindi diversi significati: la festa e la trasgressione, la libertà e l’immoralità.



Allo scopo di limitare l'inarrestabile decadimento morale dei Veneziani,  la Serenissima in varie riprese ha legiferato in materia di Carnevale e ha regolamentato l’uso delle maschere e dei travestimenti. Accanto alle maschere tradizionali veneziane troviamo anche le maschere della Commedia dell'Arte, rese famose dal teatro ed in particolar modo dalle commedie di Carlo Goldoni.

La storia della maschera veneziana inizia già nel 1268, anno a cui risale la più antica legge che limita l'uso improprio della maschera: in questo documento veniva proibito agli uomini in maschera, i cosiddetti mattaccini, il gioco delle "ova" che consisteva nel lanciare uova riempite di acqua di rose contro le dame che passeggiavano nelle calli.
Sin dai primi del '300 cominciarono ad essere sempre più numerose le leggi che promulgavano decreti per fermare il libertinaggio dei veneziani del tempo e per limitare l’uso esagerato delle maschere.
Era proibito indossare la maschera nei periodi che non fossero quelli di carnevale e nei luoghi di culto, così come erano proibite le armi e gli schiamazzi di gruppo. L'uso della maschera veniva proibito alle prostitute e agli uomini che frequentavano i casini.
Questo perché spesso la maschera era usata per celare la propria identità e per risolvere affari poco puliti o portare avanti relazioni curiose.



Il diffuso uso della maschera da parte di Veneziani e dei turisti durante il periodo di Carnevale fece crescere la domanda e, di conseguenza, contribuì all’evoluzione della figura dei mascherai, gli artigiani della maschera.
La produzione di maschere si era così intensificata che nel 1773 esistevano ufficialmente 12 botteghe di maschere a Venezia: poche se si considera l’uso che se ne faceva in quegli anni.
La richiesta di maschere ed il loro utilizzo era tale per cui si cominciarono a fabbricare molte maschere "in nero", dando lavoro a tante persone e riuscendo così a intensificare la produzione e la diffusione a livello europeo.
Le maschere erano (e lo sono ancora oggi) fatte di cartapesta e ne venivano prodotti diversi modelli in diversi colori e decorati con gemme, tessuti e nastri.
Nel 1600 si abusava talmente dell'uso della maschera che al governo della Serenissima toccò fare delle regole che ne limitassero l'uso improprio e che invece ne scandissero l'obbligo in cerimonie ufficiali e feste pubbliche.
Una serie di decreti del Consiglio dei Dieci, limitarono infatti l’uso della maschera ai giorni di Carnevale e alle feste ufficiali prevedendo in caso di trasgressione pene molto pesanti.
Queste infatti, venivano usate durante molti mesi dell’anno: dal giorno di Santo Stefano, che segnava l’inizio del Carnevale veneziano, sino alla mezzanotte di Martedì Grasso che lo concludeva.
Vista l'usanza di molti nobili Veneziani che andavano a giocare d'azzardo mascherati per non essere riconosciuti dai creditori, nel 1703 vengono proibite per tutto l'anno le maschere nei Ridotti, cioè le case da gioco veneziane.



Nel 1776, una nuova legge, questa volta atta a proteggere l'ormai dimenticato "onore di famiglia", proibiva alle donne di recarsi a teatro senza una maschera,  la bauta, o il volto e il tabarro.
Dopo la caduta della Repubblica, il Governo Austriaco non concedette più l'uso delle maschere, se non per feste private o per quelle elitarie. Con l’inizio della dominazione austriaca il Carnevale di Venezia attraversò una fase di decadenza. Solo durante il secondo governo austriaco fu permesso di nuovo di utilizzare le maschere durante il Carnevale.
Il governo italico si dimostra più aperto ma questa volta sono i Veneziani ad essere diffidenti: ormai Venezia non era più la città del Carnevale ma solo una piccola provincia dell'Impero, quindi senza più libertà.



Chi fabbricava le maschere veneziane ai tempi della Serenissima erano i "Mascareri", consociati nell'Arte dei Maschereri fin dal 1436. Attualmente in città sono presenti centinaia di negozi che vendono maschere veneziane, ma poche botteghe possono vantare dei maschereri che lavorino all'antica, con la cartapesta.

Con l'usanza sempre più diffusa dei travestimenti per il Carnevale, a Venezia nacque dal nulla e si sviluppò gradualmente un vero e proprio commercio di maschere e costumi. A partire dal 1271, vi sono notizie di produzione di maschere, scuole e tecniche per la loro realizzazione. Cominciarono ad essere prodotti gli strumenti per la lavorazione specifica dei materiali quali argilla, cartapesta, gesso e garza. Dopo la fase di fabbricazione dei modelli, si terminava l'opera colorandola e arricchendola di particolari come disegni, ricami, perline, piumaggi e quant'altro. I cosiddetti mascareri, che divennero veri e propri artigiani realizzando maschere di fogge e fatture sempre più ricche e sofisticate, vennero riconosciuti ufficialmente come mestiere con uno statuto del 10 aprile 1436, conservato nell'Archivio di Stato di Venezia.



Tra le maschere veneziane più conosciute possiamo annoverare sicuramente la Bauta (che si pronuncia con l'accento sulla "u", Baùta). Queste maschere veneziane le indossavano sia gli uomini che le donne, ed erano così composte: maschera bianca per il volto, mantello nero (detto anche "tabarro") ed il tipico copricapo del '700, il tricorno di colore nero.

Il tabarro era composto da una mantellina che raddoppiava sopra le spalle, poteva essere di panno o di seta secondo le stagioni, bianco o turchino, scarlatto per un'occasione di gala, a volte decorato con fronzoli, frange e fiocco "alla militare". Era molto usato anche dalle donne, scuro d'inverno e bianco d'estate.

Il tabarro era, spesso, utilizzato per nascondere armi proprio per questo vennero emanati molti decreti per impedire alle maschere di utilizzare il mantello per scopi non proprio ortodossi e soprattutto pericolosi. Coloro che venivano colti in flagranza di reato andavano incontro a pene molto pesanti: per gli uomini la pena era di due anni di carcere, il servizio per 18 mesi nelle galere della Repubblica Serenissima, il pagamento di 500 lire alla Cassa del Consiglio dei Dieci.

Le donne, spesso meretrici, che venivano trovate in maschera venivano frustate da Piazza San Marco a Rialto, poste in berlina tra le due colonne di Piazza San Marco e venivano bandite per quattro anni dal territorio della Repubblica Veneta e anch’esse erano costrette al pagamento di 500 lire alla Cassa del Consiglio dei Dieci.

L’elenco dei decreti procede di pari passo a quello dello svolgersi, annuale, del Carnevale. Di volta in volta viene aggiunta una proibizione: vietato recarsi in maschera all’interno dei luoghi sacri, vietato mascherarsi in abiti religiosi, vietato ballare in pubblico al di fuori dei giorni stabiliti per la festa del carnevale, vietato portare maschere nelle case da gioco (espediente che, spesso, veniva utilizzato da quanti volevano mantenere l’anonimato o non farsi riconoscere dai creditori).



Le maschere veneziane più usate dal popolo erano il Bernardone o Bernardon e la Gnaga: la prima fingeva di essere malata e si sosteneva con le grucce, la seconda era un uomo travestito da donna. Il Mattaccino era il pagliaccio del carnevale che, ripetendo un'antica usanza, gettava uova ripiene di profumi verso gli amici affacciati sui balconi. La Moretta era tra le maschere veneziane quella preferita tra le donne. Di colore nero e di forma ovale, stava aderente al viso perchè sostenuta da un bottoncino attaccato alla maschera e trattenuto con la bocca dalle veneziane.

Tra le maschere veneziane più bizzarre, il Medico della Peste è quella riconoscibile dal lungo naso simile al becco di una cicogna. In origine questa non era una maschera ma bensì doveva servire da protezione ai cosiddetti Medici della Peste, che venivano a contatto con gli ammalati di questo terribile morbo. Questa malattia uccise metà della popolazione di Venezia durante le due epidemie che sconvolsero l'Europa nel 1576 e nel 1630. I Medici della Peste inserivano delle erbe aromatiche all'interno del becco delle maschere, indossavano degli occhiali e toccavano gli appestati e i loro indumenti solamente con una bacchetta di legno. Tutti questi erano considerati mezzi di protezione indispensabili per non venire contagiati. Altro costume tipico delle maschere veneziane è quello a righe bianche e verdi di Zanni, conosciuto anche con il nome di Brighella.



Fra le maschere veneziane per eccellenza si può annoverare quella di Arlecchino, che ha origini bergamasche. Essa è facilmente riconoscibile per il suo costume multicolore e per i suoi continui movimenti alternati a salti e a capriole. Fu il protagonista di una delle più celebri commedie di Carlo Goldoni, "Arlecchino Servitore di Due Padroni". Pantalone è un personaggio anziano, astuto e avaro. Tipica tra le maschere veneziane della Commedia dell'Arte, la figura di Pantalone rappresenta in forma farsesca il carattere del mercante di Venezia che tanto ha contribuito con i suoi commerci alla ricchezza della sua città. Spesso sopraffatto dall'avvenenza femminile delle maschere veneziane di Colombina e Franceschina, egli veniva anche chiamato Pantalon de' Bisognosi. Pantalone venne interpretato magistralmente nel '900 dal grande attore Cesco Baseggio. Il regista teatrale che forse meglio ha diretto queste due maschere veneziane nelle commedie goldoniane fu Giorgio Strehler.

Anche i preti e le monache approfittavano delle maschere per celarsi e trasgredire compiendo fughe amorose o “multas inhonestas”…







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