IL BRACCONAGGIO



Bracconaggio è un termine che indica la caccia di frodo, ovvero l’esercizio dell’attività venatoria in violazione della legge vigente.

Il bracconaggio purtroppo è una piaga anche italiana: 300 lupi vengono uccisi o investiti da auto ogni anno in Italia, migliaia di uccelli migratori vengono abbattuti a colpi di fucile, lacci e veleni colpiscono tante specie protette come orsi, aquile e cicogne e avvelenano l’ambiente. «Il bracconaggio è una piaga mondiale che va fermata perché non solo distrugge la biodiversità ma alimenta il dramma della fame e della povertà di intere popolazioni - dichiara Donatella Bianchi, presidente del Wwf Italia - Gran parte degli stati africani vede nel bracconaggio una seria minaccia al proprio sviluppo economico».

Nell'antichità la selvaggina era considerata res nullius, cioè di proprietà di nessuno.

Con la nascita della proprietà privata tribale e con il sopraggiungere del medioevo, la selvaggina divenne un esclusivo patrimonio dei feudatari, dei regnanti e dei loro ospiti. Ciò privò il popolo di una delle fonti alimentari, dando vita al bracconaggio. Si suppone che i primi ad istituire il sistema delle riserve di caccia siano stati i Franchi, il cui scopo era sia di riservarsi tutta la selvaggina, sia come simbolo del prestigio e della predominanza nei loro possedimenti. Il bracconaggio venne quindi inserito nei codici penali dei regnanti e dei feudatari come furto verso la loro proprietà. Con l'avvento delle leggi moderne sulla caccia negli anni 90' la selvaggina ha acquisito lo status di patrimonio indisponibile dello Stato. Essendo la fauna selvatica patrimonio indisponibile, solo chi esercita la caccia con regolare licenza di porto di fucile, nel rispetto della Legge 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio." e leggi regionali in materia venatoria) e dei rispettivi regolamenti provinciali (della provincia in cui si esercita l'attività venatoria) può prelevare, mediante l'abbattimento con i mezzi, nei luoghi e nei tempi indicati dalla legge, i capi di fauna selvatica cacciabile nel numero consentito e ne diventa legittimo proprietario. Qualsiasi altra forma di abbattimento o cattura di fauna selvatica è considerata bracconaggio e pertanto perseguibile penalmente.

Oggi nel bracconaggio rientrano una miriade di atti e azioni, direttamente connesse all'abbattimento, alla cattura o alla detenzione di animali selvatici, in violazione alle norme vigenti:

La caccia e la pesca all'interno di aree protette
la caccia e la pesca fuori dagli orari e dai periodi prestabiliti
la caccia e la pesca fatta senza l'apposita licenza
la caccia fatta senza rispettare i limiti massimi di carniere giornalieri e/o stagionali
la caccia con balestre e strumenti non contemplati nei mezzi di caccia consentiti
la caccia di animali di proprietà o per i quali qualcun altro ha legalmente il diritto esclusivo di caccia
la caccia fatta usando tecniche illegali (uso di lacci; tagliole; reti; armi non previste dalla legge quadro o capaci di esplodere più cartucce rispetto a quanto la stessa norma prevede; richiami acustici a funzionamento meccanico, elettromagnetico o elettromeccanico, con o senza amplificazione del suono; sparando da automobili, natanti etc.)
la caccia di animali che appartengono a specie a rischio, così come stabilito dalla legge quadro in materia o dal calendario venatorio vigente nella rispettiva regione di competenza, altresì sono specie particolarmente protette o protette, tutte le altre specie oggetto di tutela da parte di direttive comunitarie, convenzioni internazionali o con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, poiché dichiarate in via d'estinzione.
l'uccellagione nonché la cattura e la detenzione di fauna selvatica oggetto di tale apprensione illecita.
la pesca effettuata usando tecniche illegali (esplosivi, corrente elettrica, veleni, pesca con autorespiratori, raccolta dei datteri di mare, ecc.)
la cattura di pesci al di sotto le misure minime
la pesca di una quantità di pesci superiore al massimo giornaliero consentito
l'utilizzo di armi da fuoco con matricola abrasa, di modo che non si possa risalire al possessore.
In tutte le regioni italiane, sul fronte della lotta al bracconaggio sotto le sue varie forme, risultano attive numerose associazioni, soprattutto di protezione ambientale, che tramite propri volontari o guardie giurate venatorie volontarie, attuano attività di contrasto al fenomeno. Istituzionalmente, gli organi di polizia sono tutti competenti in ordine ai reati di bracconaggio; tuttavia sono particolarmente impegnati e specializzati, la Polizia provinciale, il Corpo forestale dello Stato (ed in particolare il Nucleo Operativo Antibracconaggio) e i corpi forestali regionali e delle province autonome. Le normative che mirano alla prevenzione e repressione del bracconaggio sono diverse, a partire dalla Legge 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio." e alle varie leggi regionali, anche quelle sulla tutela della cd. fauna minore. Specie in relazione all'esercizio della caccia, le regioni e le province possono emanare regolamenti e disposizioni, oltre al calendario venatorio, al fine di disciplinare l'attività in modo più appropriato. A tutela di molte specie, sono intervenute nel tempo, diverse direttive comunitarie, convenzioni internazionali e decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Secondo la recente giurisprudenza, chi è colto nell'apprensione di fauna selvatica, privo di regolare licenza di caccia è passibile, oltre che delle violazioni specifiche previste dalle vigenti normative, anche del delitto di furto aggravato ai sensi degli artt. 624 - 625 c.p. Altre norme del codice penale o in materia di armi e munizioni, possono concorrere in diversi casi di bracconaggio.

L'applicazione delle leggi sulla fauna selvatica e contro il bracconaggio hanno molto spesso un impatto negativo sulle comunità indigene in tutto il mondo, che dipendono dalla caccia per la propria sopravvivenza. Ad esempio, i Boscimani del Botswana vengono arrestati, torturati e persino uccisi dalle guardie forestali se sorpresi a cacciare, mentre in India molti indigeni sono stati sfrattati illegalmente dalle loro terre nel nome della creazione di riserve naturali per la protezione degli animali (come nel caso delle riserve delle tigri di Kanha e di Similipal).

Gli indigeni, inoltre, vengono spesso accusati falsamente di contribuire al declino della fauna selvatica. In Asia sono i più colpiti dalle misure per la conservazione della tigre nonostante vi siano studi che dimostrano che nelle aree in cui gli indigeni continuano a vivere vi è un numero maggiore di tigri (come emerge, ad esempio, da una ricerca nel Chitwan National Park in Nepal).



Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, denuncia che “i popoli indigeni vengono sfrattati illegalmente dalle loro terre ancestrali nel nome della ‘conservazione’, ma in realtà sanno prendersi cura dei loro ambienti meglio di chiunque altro: sono i migliori conservazionisti. Oggi gli indigeni vengono accusati di ‘bracconaggio' perché cacciano per procurarsi il cibo, mentre i collezionisti di trofei sono incoraggiati a uccidere grandi animali in cambio di denaro.” Nel marzo 2015 Survival International, insieme a numerose organizzazioni indigene del mondo ed esperti di popoli cacciatori-raccoglitori, ha lanciato un appello per chiedere ai leader mondiali di riconoscere " il diritto dei popoli indigeni a cacciare per sopravvivere"

Ancora oggi l’Italia è, purtroppo, terreno di bracconaggio diffuso. Cicogne, gru, rapaci, lupi, tutte specie particolarmente protette, cadono vittima dei bracconieri, dei fucili, delle trappole, dei bocconi avvelenati.

Ma fra le vittime del bracconaggio si contano anche specie che, pur non godendo di particolari regimi di protezione, sono oggetto di episodi di bracconaggio, come ad esempio le centinaia di fringillidi illegalmente commerciati nei mercati abusivi di Napoli e Palermo oppure le centinaia di quaglie e tortore che in primavera, di ritorno dall’Africa verso i luoghi di riproduzione, sono abbattute dai bracconieri nelle isole del basso Tirreno. O ancora i tanti passeriformi catturati e "spiedati" in Sardegna.

Lo Stretto di Messina, il Basso Sulcis, le piccole isole tirreniche, le Valli del Bresciano sono solo i luoghi più rilevanti e noti per il fenomeno in Italia, che del resto non manca di verificarsi anche in aree meno note e in forme meno evidenti, ma pur sempre gravi ed esecrabili.
Per non parlare di quella che potremmo definire la “zona grigia”, il terreno al confine tra legalità e illegalità in cui moltissimi cacciatori si muovo abitualmente (capi abbattuti e non segnati sul tesserino, caccia fuori tempo, numeri di abbattimenti superiori al consentito e così via).

Il bracconaggio, ancorché per motivazioni socio-culturali, resiste per ragioni precise. In primo luogo, una notevole carenza di controlli.
La vigilanza, nel nostro Paese, è certamente sottodimensionata rispetto all’entità del fenomeno, non solo in relazione al numero di personale addetto ma anche rispetto alle dotazioni di strumenti e risorse economiche.

Inoltre le pene previste attualmente sono leggere e prevedono quasi tutte l'oblazione, cioè la possibilità di estinguere la pena con il semplice pagamento di una somma di danaro. Le pene sono inoltre riferite all’abbattimento della "specie" e mai anche al singolo esemplare. Per fare un esempio: se venisse abbattuta un’aquila, o venissero abbattute dieci aquile, la pena sarebbe la medesima.

Ogni anno il 10% della popolazione di gorilla di pianura scompare sotto i colpi del bracconaggio, il crimine che negli ultimi decenni in Africa ha contribuito di più al drammatico declino di questa specie, che in molte foreste africane è arrivato fino al 90%. Entro il 2032, secondo le stime del Wwf, sarà rimasto solo il 10% dell’habitat di tutti i gorilla e nei prossimi 10 anni i “re della foresta” potrebbero addirittura scomparire da gran parte dei loro ambienti naturali. Tra avorio, pelli, corni di rinoceronti, animali da collezione e carne di savana (bushmeat), il mercato nero di natura alimenta un giro di affari illegale che nel mondo vale oltre 23 miliardi di dollari l’anno, un business che spesso finisce per finanziare conflitti armati.

Vittime di questi criminali, i gorilla di pianura occidentale, considerati «critically endangered» secondo la triste Lista Rossa dell’Iucn (l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura) che ne stima una popolazione di un massimo di 100.000 individui distribuiti tra Angola, Camerun, Repubblica Centrafricana, Congo, Repubblica Democratica del Congo Guinea Equatoriale e Gabon. Sempre secondo l’Iucn, questa sottospecie di gorilla è interessata da un trend di riduzione che ha condotto alla perdita dell’80% dell’intera popolazione. Il 60% è scomparso nel corso degli ultimi 20-25 anni. Nel Congo nord orientale ancora oggi il 5% della popolazione di gorilla di pianura occidentale viene ogni anno trucidata dai bracconieri per il commercio di carne e trofei.

Il drammatico destino di elefanti e rinoceronti segnato dal commercio di avorio.
Non meno drammatico il destino degli elefanti in tutto il territorio africano: in molti Paesi, in pochi anni il bracconaggio ha sterminato intere popolazione e se all’inizio del secolo scorso sopravvivevano circa 5 milioni di elefanti (si stima ne esistessero circa 25 milioni nell’800), oggi ne sopravvivono a malapena un decimo, ovvero circa 450.000. Branchi di elefanti continuano a essere decimati per il commercio di avorio: oltre 30.000 elefanti africani ogni anno.

 Nella Repubblica Democratica del Congo la popolazione di elefanti è scesa a meno di 20.000 capi dai circa 200.000 degli anni ’60. E non va meglio nell’Africa centrale, la Tanzania (60% di perdite in 5 anni) e il Mozambico (50% in 5 anni). Non sono in condizioni migliori le diverse specie di rinoceronte: il commercio di corni di rinoceronte sta portando alla rapida estinzione questi animali e dagli anni ’90 a oggi è stato registrato un aumento del bracconaggio del rinoceronte del 9000%. In Asia la popolazione di tigri si è ridotta del 97% nell’ultimo secolo. Anche per le specie marine il pericolo è sempre in agguato: il Wwf ha registrato una perdita complessiva del 49% negli ultimi 40 anni.



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