GLI ANIMALI DELLO ZOO
La figura dello zoo è diventata sinonimo di sofferenza, sofferenza soprattutto visibile. Un animale ridotto in spazi angusti, senza arricchimenti ambientali, senza relazioni sociali tipiche della specie di appartenenza, manifesta più direttamente il suo malessere. Movimenti stereotipati, noia, automutilazione, è questo il repertorio più noto degli stadi di alienazione indotti da uno zoo.
Il benessere di una specie animale è pienamente appagato nel suo ambiente naturale. Un leone, ad esempio, intrattiene con i suoi simili complesse relazioni sociali, necessita di spazi enormi e, come tutti gli animali, interagisce con individui di altri gruppi ad esempio tramite il possente ruggito. Una tigre, più tipica di ambienti forestali e comunque squisitamente solitaria, interagisce lo stesso con i suoi simili. Utilizza segnali odorosi, solo per lei significativi, delimita e difende il territorio e interagisce, al momento opportuno con le femmine per la riproduzione. Per un elefante, animale sociale, la comunicazione può avvenire tramite onde sonore inavvertibili dall’uomo, che riescono a propagarsi, anche grazie al terreno, a parecchi chilometri di distanza.
Gli aspetti più opprimenti della cattività saranno stati così occultati con l’impiego di minimi interventi etologici. E’ la scienza del comportamento finalizzata al mantenimento espositivo di un animale nello zoo. Questo per il tempo medio di permanenza di un visitatore, in genere pochi minuti. L’animale, in effetti, compierà gli stessi movimenti ma in un arco di tempo più ampio. Provate ad osservare per un’ intera giornata un animale costretto dalla cattività e poi ne riparliamo.
Si parla delle strutture migliori, ossia di quelle che sono riuscite a mascherare, per il visitatore, le degenerazioni comportamentali più comuni della cattività animale. La realtà, infatti, è molto meno sofisticata di quello che sembra ed oggi moltissime strutture di giardino zoologico espongono gli animali in situazioni non dissimili dal serraglio ambulante di un circo equestre.
Per capire il ritardo con il quale si è cercato di porre rimedio ai più comuni errori di mantenimento di un animale nello zoo, basti sapere che solo con gli allegati della legge zoo, datata 2005, è stato deciso che gli animali dovranno avere una adeguata dieta. L’obesità, però, continua a rimanere uno dei problemi più comuni degli animali negli zoo, così come i problemi articolari dovuti alla pessima e continuata erronea postura indotta da spazi comunque ristretti. Negli zoosafari, poi, il minimo riferimento territoriale che un animale tenta di individuare negli spazi nei quali è costretto a vivere, è continuamente violato da intrusi umani motorizzati. La legge lo consente così come è stato appositamente prevista l’esibizione degli animali durante il pasto. In compenso la legge sui giardini zoologici, per tutelare gli animali, vieta di fumare nelle strutture. Cosa senz’altro giusta per la salute umana, ma ci sforziamo di capire come una sigaretta possa essere di qualche incidenza per la narice di un leone al di là di parecchi centimetri di vetro blindato che ne espone la sua prigionia a vita.
Non sono felici, non possono muoversi in spazi adeguati, le loro “case” recintate non assomigliano minimamente agli ambienti di provenienza. E per di più, spesso sono costretti alla fame, fino a che non ce la fanno più, si accasciano, e muoiono. Purtroppo però la sorte degli animali che vivono negli zoo italiani interessa alle associazioni animaliste e a pochi altri.
In due secoli l’uomo dovrebbe aver sviluppato una sensibilità e un rispetto diversi nei confronti degli animali. Oggi prevale l’idea che sia meglio osservarli e garantirne la sopravvivenza nel loro ambiente naturale e non in aree delimitate e ambienti artificiali, dove la maggior parte degli esemplari vede le proprie abitudini istintive e sociali represse, dove sono costretti a vivere un’intera vita in pochi metri quadri, con poco cibo, esposti al caldo o al freddo innaturali per loro.
In molte strutture poi, mancano i fondi, ma non si vuole rinunciare alla possibilità di mettere in vetrina animali che normalmente si vedono solo nei documentari. Animali che una volta entrati nelle gabbie, diventano un ulteriore costo d’ingombro: in caso di chiusura di zoo e bioparchi vari, chi se ne prenderebbe cura? Al momento nessuno, a cominciare dallo Stato, intende accollarsi questo onere.
Molti di questi sono animali di piccola taglia, ma sarebbero almeno qualche centinaio quelli di grandi dimensioni come giraffe, leoni e orsi. Almeno questi sono i numeri che il dottor Lesley Dickier, direttore esecutivo dell’Associazione Europea degli Zoo e Acquari (Eaza) ha esposto durante un’intervista «Sono i numeri che stimiamo per tutti i casi di eutanasia negli zoo - ha detto - siano essi girini fino alle giraffe» .
Il numero preciso però non è certo perché in molti casi nei registri delle morti non viene indicata la motivazione della soppressione. Alcuni esemplari vengono uccisi per mantenere una adeguata diversità genetica nella popolazione degli animali in cattività. «Perdere questa diversità sarebbe un danno anche per i possibili programmi di reintroduzione in natura - spiega il dottor Dickie -. Sono molti i casi di successo che confermano l’utilità di questa posizione. Ora la popolazione delle tigri è più stabile e sicura nei nostri zoo che in natura. Ci sono casi come la grande scimmia leonina, un primate del Sud America, che esiste solo grazie agli zoo. Molti altri animali vivono pessime condizioni in natura mentre sopravvivono in cattività».
A supporto della linea del dottor Dickie ci pensa Simon Tonge, presidente della Eaza: «Il 10 o 15 % della gente è contraria all’uccisione degli animali, ma la maggior parte - se è necessario per il consumo umano o per regolare la popolazione animale - non sono contrari». Sul web non sono ovviamente d’accordo gli animalisti che sottolineano come gli animali dovrebbero essere sottoposti alle regole della natura, quella vera e non a strane politiche di conservazione dettate forse più da esigenze di budget che dai reali interessi degli animali.
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