STATUE UMANE
L'arte della statua vivente assimila, per molti versi, quelle antiche e consolidate da antica tradizione dei presepi viventi, allestiti in molte città dell'Italia sull'esempio di quello di Greccio, e delle rappresentazioni della Passione di Cristo.
Nella mitologia greca Talos, gigante di bronzo guardiano di Creta, è raffigurato come statua vivente creata da Efesto per Zeus che ne intendeva fare dono ad Europa.
Il teatro inerte delle statue viventi si basa su un talento naturale dell’artista all’immobilità, alla contemplazione, alla meditazione, all’ascolto, trae successo dalla sorpresa dello spettatore e dalla differenza di potenziale di attenzione e concentrazione tra artista e spettatore.
Il fare spettacolo come statua vivente si basa su una modalità molto semplice di espressione, l’immobilismo, ma è efficace e suscita reazione emotiva e interesse perché sfrutta alcune debolezze delle persone. Quasi tutte le persone credono che sia impossibile restare fermi a lungo, mentre è vero il contrario e cioè che tutti stanno fermi in molte occasioni e sanno farlo, solo che quando accade non se ne accorgono perché sono concentrati su quello che accade intorno a loro o su di loro (a un funerale, a una cerimonia, durante un’operazione chirurgica, ecc.).
Gli spettatori di spettacoli di statua vivente inoltre non hanno la pazienza di stare ad osservare il comportamento dell’artista per un periodo abbastanza lungo: se lo facessero si accorgerebbero di come l’artista sbatte le palpebre, deglutisce, deve cambiare posizione dei piedi, vibra, trema, oscilla e insomma non sta perfettamente immobile.
Infine lo spettatore medio, catturato e provocato dalla fissità della statua, dal suo mutismo e dall’assenza di comunicazione non si accorge dei particolari dell’installazione.
Per questi motivi incontriamo così tante statue viventi nelle strade delle grandi città. Ma per gli stessi motivi suddetti quegli artisti di strada sono quasi sempre acconciati alla buona, applicano un immobilismo imperfetto e, sostentandosi con le offerte dei passanti, applicano il metodo a “juke box”, ovvero si muovono, cambiano posizione, o si inchinano, ringraziano, ogni volta che si mette loro un offerta nella ciotola/cappello.
Quando l’artista è statua, in mezzo alla piazza, mascherato, tutto dipinto di bianco, sul piedistallo, avviene una forma particolare di comunicazione. A tutta prima sembra che non esista affatto della comunicazione. Tanto che molte persone e bambini si chiedono seriamente se non si tratti di una vera statua di pietra («Sei vero?» chiedono) e alcuni bambini molto piccoli scoppiano a piangere se l’artista persiste a non muoversi.
Lo spettatore incontrando la statua la guarda, si aspetta movimenti, espressioni; si accorge della scelta dell’artista di applicare il teatro inerte e si sente provocato. Parla alla statua ma non riceve risposta. Si chiede che senso ha questa rappresentazione? Vorrebbe toccarlo o fargli scherzi, dargli pizzicotti, costringerlo al movimento (e per questo offre le monete – mentre la statua andrebbe apprezzata con la moneta proprio perché sta ferma).
Ma al contempo pensa che l’artista va rispettato nella sua forma di rappresentazione e non lo tocca. Quando invece il contatto all’artista piace perché trasmette calore, rappresenta un incontro, permette di mostrare ancor meglio la scelta consapevole e decisa dell’immobilismo.
Quasi sempre con questi processi lo spettatore rimane interessato per un certo periodo allo spettacolo del teatro inerte e si esprime in complimenti.
Anche da parte della statua avviene una comunicazione, certamente non verbale. Essa è propriamente non verbale – questo fa della statua vivente un a forte esperienza multisensoriale, meditativa, spirituale.
L’artista ascolta, soprattutto. Ascolta con l’udito tutto quello che avviene intorno. L’udito è il senso più attivo lì sul piedistallo, in mezzo alla piazza. L’udito ti permette di riconoscere l’età, il sesso, le intenzioni degli spettatori.
La vista invece è parzialmente attiva. Le statue, vere e finte, guardano lontano, sopra le teste delle persone. Lo sguardo è fisso, forse spento. La statua raccoglie informazioni visive solo con una visuale periferica. La vista lì è periferia, l’ascolto è centro.
Al più è la luce che inonda gli occhi della statua. L’occhio si posa su oggetti dei muri, degli alberi, dei tetti, anzi automaticamente cerca punti dove non sono presenti soggetti di rilievo, lo sguardo tende a perdersi, il fissare perde significato.
Il tatto, su tutta la superficie del corpo è pienamente attivo. La temperatura dell’ambiente, le folate di vento (sugli occhi soprattutto), gli spostamenti d’aria causati da movimenti di persone e oggetti, il calore del sole.
L’odorato contribuisce in parte con i profumi delle signore o i dopobarba, l’odore delle sigarette o di cibi cotti, delle piante, dell’aria serale.
Il gusto è secondario, se non per il sapore del colore in bocca. La bocca rimane inerte per tutto il tempo, tanto che alla fine capita di sentire in bocca lo stesso gusto di quando si è dormito a lungo.
L’artista vive la comunicazione, insomma, soprattutto recependo.
Ma a sua volta restituisce atti comunicativi nella forma della espressione corporea, nel ritmo del cambiamento di posizione. Tutto questo è accompagnato da una concentrazione interiore paragonabile a una meditazione intensa sulla situazione ma anche meditazione esistenziale.
Ed è questa la sostanza che principalmente la statua vivente utilizza e ricambia verso lo spettatore.
Sembra che ogni spettatore intuisca questo scambio asimmetrico e profondo di sostanza comunicativa, ma non solo pochi spettatori ne sono consapevoli e sono in grado di apprezzare in tutte queste dimensioni lo spettacolo. Purtroppo sono molti i genitori che incitano i figli a stuzzicare l’artista, o si offendono se la statua non si è mossa, dopo che hanno fatto la loro offerta.
L’artista interagisce non solo potenziando e utilizzando le percezioni multisensoriali e con la meditazione, che consente un progressivo ampliamento della coscienza, ma può anche interagire strizzando l’occhio, o spaventando i bambini che si sono avvicinati troppi.
Il profilo di risposta e interazione con il pubblico può essere molto diverso da artista ad artista. Alcuni vivono il teatro inerte in modo integrale e assoluto, altri si limitano a cambiare posa periodicamente; alcuni scherzano e provocano il pubblico fino all’utilizzo occasionale della parola e del movimento.
La consapevolezza di precludersi la parola e l’interazione normale con le altre persone e gli spettatori costringe l’artista a un’attesa, allenamento alla disciplina della passività. Ciò ha un indubbio valore di formazione spirituale.
Avviene durante lo spettacolo che l’artista arrivi e riesca a concentrarsi tanto sulla automeditazione fino a separarsi dall’ambiente, restringere il campo dell’attenzione solo al suo interno. Quello è il momento in cui i muscoli fanno lo sforzo minore nel mantenere la posizione, in cui diminuiscono al massimo le oscillazioni e i tremolii, in cui rallenta maggiormente la frequenza del battito degli occhi, in cui, in conclusione, l’artista si confonde interamente con l’oggetto inanimato, con la statua.
Non sembra possibile, né auspicabile trasformar lo spettacolo in una ininterrotta meditazione extrasensoriale.
Arrivare a esibirsi in piazza, mascherati in personaggi storici, sperimentando la meditazione e l’acuirsi delle percezioni sensoriali, rappresenta un percorso terapeutico che favorisce il potenziamento della fiducia di sé, delle capacità espressive, dell’ascolto, della percezione di sé, dell’equilibrio interiore e psico-fisico.
Spesso, queste statue umane hanno riflessi luminosi color dell'oro o dell'argento oppure risultano arricchite da fantasiose e cangianti decorazioni. Frequente è anche il ricorso a semplici maschere, in questo caso necessariamente abbinate a costumi appropriati, spesso multicolori.
In taluni casi la statua vivente contribuisce a comporre una sorta di tableau vivant dall'articolazione composita.
Le statue viventi sono in grado di restare per ore ferme nella medesima posizione, compiendo solo minimi movimenti degli occhi e talvolta del capo e delle mani: lungo è l'allenamento per ridurre al minimo il battito delle ciglia per lunghi periodi. Per raffinare questa tecnica gli artisti debbono affrontare un lungo allenamento teso ad ottenere un particolare controllo del sistema nervoso sottoposto a un forte stress in termini di pazienza a cui è sottoposta la statua stessa.
Statue viventi si esibiscono nei centri storici di tutto il mondo e la loro utilizzazione ha assunto, nel tempo, sfaccettature ed utilizzazioni diverse come ad esempio quelle dell'esposizione in vetrine al pari di mannequin o di esca per originali candid camera. Al pari di altre cosiddette performing art, le statue viventi possono operare in determinati spettacoli o presenziare in mostre d'arte.
Interessante appare poi la liaison fra il mondo artistico delle statue viventi e quello particolarmente imitativo dell'infanzia, con riflessi diretti sull'espressività emozionale e psicomotoria degli osservatori più giovani.
Questo anche in funzione di un aspetto strettamente didattico che questa attività, mossa dalla pura fantasia, può stimolare specialmente in rapporto a ragazzi e adolescenti i quali possono in tal modo avvicinarsi, in maniera ludica, allo studio di monumenti, personaggi e opere d'arte spesso fra i maggiormente conosciuti.
Un'annuale competizione di questa specialità si tiene ad Arnhem, nei Paesi Bassi, mentre la cittadina californiana di Laguna Beach ospita - sempre annualmente - il Pageant of the Masters, spettacolo creato da appassionati locali di questa vera e propria arte che ne hanno inserito lo svolgimento nel contesto del più generalista Festival of the Arts. Lo spettacolo presenta statue viventi intente e riprodurre, nel corso di una stessa serata, decine e decine di capolavori della pittura e della scultura. I diversi set si alternano al ritmo di un paio di minuti ciascuno e sono scanditi dalle note di musica classica.
L'arte delle statue viventi è apprezzata e diffusa anche in Sudamerica (particolarmente in Brasile). In Europa, nella città di Espinho (Portogallo) viene organizzata dal 1997, intorno al 16 giugno, una gara dedicata a questa specialità che coincide con la festa municipale.
Infine, l'Epcot Center di Orlando (Florida) è sede dall'aprile 1995 di esibizioni interattive delle living statue irradiate dalla Unity Productions.
La statua vivente viene citata - direttamente o indirettamente - anche nella fantascienza e, più genericamente, nel mondo del fantasy. Il senso di queste partecipazioni ha un valore aggiunto ed un diverso, e più profondo significato, poiché spesso riguardano esseri umani (o le altre creature umanoidi, come ad esempio gli elfi) che, sebbene bloccati dalla tecnologia o per influssi di forze magiche, rimangono sempre in possesso delle proprie facoltà sensoriali. Un esempio in questo senso è contenuto nel romanzo di Michael Moorcock The Queen of the Swords: gli eroi della storia si imbattono nella Frozen Army (l'Armata del gelo) e vengono trasformati in statue viventi.
Un altro esempio è dato dal film del 2005 House of Wax in cui viene descritta una città affollata di realistiche statue di cera che tornano a vivere pur rimanendo intrappolate nel loro appiccicoso involucro (da notare che il tema era stato già trattato in un film del 1953 dallo stesso titolo ma uscito in Italia con il titolo La maschera di cera).
La statua vivente è il titolo di un film del 1943 musicato da Alessandro Cicognini.
Nel Don Giovanni di Mozart, il Commendatore, padre di Donna Anna, conosciuto anche come "convitato di pietra", appare in due differenti scene nelle sembianze di una statua di marmo che improvvisamente si anima per maledire e far precipitare nelle fiamme, sotto lo sguardo attonito del servo Leporello, il malcapitato protagonista.
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