MUSICA NAPOLETANA



La musica riveste un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella storia della civiltà. Ogni popolo ha una propria tradizione musicale con sonorità precise che la contraddistinguono rendendola unica ed inimitabile. E se questa affermazione è vera per la maggior parte dei popoli lo è ancora di più per la famosissima canzone napoletana, ancora attuale.
La storia della musica napoletana costituisce un caso a se' sia per la ricchezza della produzione sia per il "raggio" di diffusione, in crescente espansione.

L'origine della canzone napoletana si colloca intorno al XIII secolo, quindi ai tempi della fondazione dell'Università partenopea istituita da Federico II di Svevia (1224), della diffusione della passione per la poesia e delle invocazioni corali dalle massaie rivolte al sole, come espressione spontanea del popolo di Napoli manifestante soprattutto la contraddizione tra le bellezze naturali e le difficoltà oggettiva di vita; si sviluppò già nel XV secolo quando la lingua napoletana divenne la lingua ufficiale del regno e numerosi musicisti, ispirandosi ai cori popolari, iniziarono a comporre farse, frottole, ballate, e ancora maggiormente dalla fine del Cinquecento, quando la "villanella alla napoletana" conquistò l'Europa, sin alla fine del Settecento. Questa espressione artistica popolare era allora carica di contenuti positivi ed ottimistici e raccontava la vita, il lavoro ed i sentimenti popolari.

In particolar modo la "villanella alla napoletana" rappresentò un primo antefatto fondamentale per gli sviluppi della canzone napoletana ottocentesca, sia per la sua produzione originariamente popolaresca ben accolta dalla classe colta, sia per il suo carattere scherzoso e l'ampio spettro componentistico, che variava dalla polifonia all'accompagnamento strumentale per una sola voce. La più famosa villanella è probabilmente Si li femmene purtassero la spada.

Il Seicento vide sfiorire la villanella ed apparire i primi ritmi della tarantella, con la celebre Michelemmà, che pare addirittura ispirata da una canzone di origine siciliana, ma comunque attribuita al poeta, musicista, pittore, incisore ed attore Salvator Rosa. Nel secolo successivo si rintraccia un secondo antefatto della canzone napoletana ottocentesca, rappresentato sia dalla nascita dell'opera buffa napoletana che influenzò non solo il canto ma anche la teatralità delle canzoni, sia per le arie dall'opera seria che divennero un faro per la produzione popolaresca. Intorno al 1768 autori anonimi composero Lo guarracino, divenuta una delle più celebri tarantelle, rielaborata come molte altre canzoni antiche nel secolo seguente.

Altri due elementi catalizzanti la propagazione ed il successo dell'attività musicale furono innanzitutto la nascita, intorno ai primi dell'Ottocento di negozi musicali e di case editrici musicali come: Guglielmo Cottrau, Bernardo Girard, Calcografia Calì, Fratelli Fabbricatore, Fratelli Clausetti e Francesco Azzolino, che ebbero il merito di recuperare, raccogliere, riproporre talvolta aggiornandoli, centinaia di brani antichi. Un secondo veicolo di diffusione della canzone fu costituito dai cosiddetti "posteggiatori", ossia dei musici vagabondi che suonavano le canzoni o in luoghi al chiuso o davanti alle stazioni della posta o lungo le vie della città, talvolta spacciando anche le "copielle", fogli contenenti testi e spartiti dei brani parzialmente modificati.

Per quanto riguarda gli elementi caratterizzanti, invece, fra la seconda metà dell'XIX secolo, così come la prima metà del Novecento, la canzone fu oggetto di inclusione, nei suoi temi, di decadentismo, pessimismo e drammatismo ad opera di intellettuali che ne modificarono lo spirito originario. In quel periodo i maggiori musicisti e poeti si cimentano nella composizione di numerose canzoni ponendo le basi per la nascita della canzone classica napoletana, pietra miliare della canzone italiana ed uno dei repertori più conosciuti all'estero.

Nel secondo dopoguerra, invece, domina la scena lo stile di Renato Carosone che mescola ai ritmi della tarantella le melodie e gli strumenti tipici del jazz, contribuendo così ancor di più all'esportazione in America della canzone napoletana. Contributo importante anche quello di Aurelio Fierro, vincitore di cinque Festival di Napoli, che ottiene molto successo con 'A pizza e Guaglione. Tra i rappresentanti della canzone melodica, invece, spiccano i nomi dei cantanti Sergio Bruni, Mario Abbate, Mario Merola, Maria Paris, Mario Trevi, Franco Ricci, Giacomo Rondinella, Nunzio Gallo, che danno un forte contributo arricchendo il repertorio napoletano della seconda metà del '900, portando al successo brani come Malafemmena, Indifferentemente, Vierno, Luna rossa, parallelamente all'incisione dei brani del repertorio classico della prima metà del '900.

Ballata romantica derivata dall’opera italiana del 19° secolo, la canzone napoletana veniva in quell’epoca universalmente riconosciuta come la canzone italiana popolare per eccellenza.

Il primo esempio del genere “Te Voglio bene assaie”, scritta da Raffaele Rocco , fu cantata all’annuale festival di Piedigrotta. Questa canzone, assieme a Santa Lucia, anch’essa canzone di enorme successo, diede origine nel 1848 allo stile che fu in grado di conquistarsi enorme riconoscimento.

In “Santa Lucia” Napoli è magnificamente decritta come: "suolo beato, ove sorridere volle il Creato". Il quartiere di Santa Lucia viene definito "impero dell'armonia". Da allora, le accattivanti melodie della canzone Napoletana e la sua tipica struttura melodica costituirono una parte fondamentale del repertorio di un cantante, indipendentemente dal suo genere.



Queste enormi successi prima catturarono il pubblico a Piedigrotta, poi passarono lentamente alla conquista di Roma. Cinquant’anni dopo Santa Lucia , "O Sole Mio" di DiCapua riceveva la standing ovation del pubblico. Fu poi il turno di "Maria, Mari", "Vieni Sul Mar", "Marechiare", e di tante altre canzoni che stregarono Caruso, Martinelli, Schipa e Ponselle.

Con l’incombere del vulcano , Napoli ed il suo milione e duecentocinquantamila abitanti, hanno tessuto una tradizione senza pari.

Tramontato il Festival, e chiusa la stagione del repertorio classico, la canzone napoletana si adegua alle esigenze del tempo, vengono ripresi ed attualizzati i temi della sceneggiata; Mario Merola, pur rimanendo legato alla canzone tradizionale, è il principale interprete di questa nuova tendenza, seguito da Pino Mauro, Mario Trevi e Mario Da Vinci.

Parallelamente a questo fenomeno, Bruno Venturini rilegge in chiave lirica i più famosi brani del repertorio classico della canzone napoletana, dando vita ad una significativa opera antologica (con brani che vanno dal 1400 ai giorni nostri), nella continuità del bel canto italiano nel mondo, che ha avuto nel grande tenore Enrico Caruso la sua massima espressione vocale. Intanto il fermento musicale di quell'epoca è avvertito anche da nuovi autori come Eduardo De Crescenzo, Alan Sorrenti, Enzo Gragnaniello e Pino Daniele che daranno un'impronta nuova alla musica partenopea, seppur con musicalità diverse. Proprio quest'ultimo, scrisse nel 1977 alcune delle più famose canzoni napoletane successive al secondo dopoguerra: Napule è, Terra mia, Je so' pazzo e Na tazzulella 'e cafè.

Ancora in questo periodo, nascono gli Osanna, che percorrono la strada delle opere rock, e Napoli Centrale con James Senese, i quali intessono una interessante fusione di generi.

La sceneggiata napoletana che Mario Merola era riuscito a resuscitare negli anni settanta pian piano sparisce di nuovo, anche se tenuta in vita per un certo periodo da Nino D'Angelo, venendo sostituita dalla musica neomelodica che ancora oggi in tutto il Sud Italia, particolarmente nelle città di Napoli e Palermo e tra gli emigranti italiani all'estero, ha un discreto successo. Il personaggio che inventò questo genere musicale fu Nino D'Angelo che in questi anni vende milioni di dischi in tutto il mondo e approda sui palcoscenici più importanti Olympia di Parigi, al Madison Square Garden, nello stadio inglese di Wembley e tante altre tappe di importante rilevanza.

Nel 1986, Lucio Dalla scrisse una delle canzoni più importanti della sua vita musicale ed una delle più vendute ed interpretate della musica italiana: Caruso.

Nino D'Angelo, dopo un periodo di forte depressione causata dalla morte dei genitori, iniziò a scrivere canzoni che trattavano tematiche di vita quotidiana e di problemi sociali, abbandonando il genere romantico che lo caratterizzò nella giovinezza. Utilizzando una base musicale che risulta essere un misto tra jazz e musica etnica, nacque (per la seconda volta) il Neo-etnico.

Negli stessi anni si affermano in ambito nazionale anche gruppi come Almamegretta, 99 Posse, 24 Grana, che rinnovano la canzone napoletana mediante una commistione di musica elettronica, trip-hop e rap. La differenza rispetto alla musica neomelodica sta anche nei testi ad alto contenuto politico (prevalentemente di sinistra). Inoltre in questi anni prima Consiglia Licciardi con Roberto Murolo poi Renzo Arbore con L'Orchestra Italiana riportano in auge la canzone classica napoletana. Renzo Arbore addirittura la riadatta in chiave moderna ricevendo un successo mondiale, scalando le classifiche di vendita e facendo concerti in tutto il mondo.

Si ricorda in questo periodo la composizione del brano Cu' mme (1992), scritto da Enzo Gragnaniello e cantato dallo stesso autore partenopeo assieme a Roberto Murolo e Mia Martini.

I primi anni 2000 sono quelli in cui il genere musicale con lasciti arabi creato da Nino D'Angelo, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta continua ad avere molto seguito in ambito locale o più in generale nel sud Italia (prima fra tutte la Sicilia).

Da quest'ultima si sono formati molti nuovi interpreti di musica neomelodica, quest'ultima giudicata molto male dalla critica ufficiale, i cui esecutori però non sono conosciuti a livello nazionale, ma solo locale. A livello nazionale la seconda generazione di cantanti neomelodici è rappresentata in primis da Gigi D'Alessio e Gigi Finizio, noti però già negli anni novanta. Definita neomelodica, talvolta è legata strettamente alla criminalità organizzata.

Per quel che riguarda il repertorio classico della canzone napoletana, riconducibile agli anni che vanno dagli inizi dell'Ottocento alla prima metà del Novecento, vede mantenuta stabile la sua rilevanza sullo scenario musicale internazionale grazie alle interpretazioni eseguite dai più grandi tenori del XX secolo, come Luciano Pavarotti, José Carreras, Plácido Domingo e Andrea Bocelli, i quali, in più occasioni, hanno tenuto concerti ed esibizioni che rimembrassero le antiche e tradizionali canzoni partenopee.

Non mancano artisti che, sul solco della tradizione classica, innovano la musica napoletana con composizioni interamente originali, tenendosi lontani dal basso stile neomelodico: musical come C'era una volta...Scugnizzi, cantautori come Sal da Vinci, gruppi come la Nuova Compagnia di Canto Popolare o i già citati Almamegretta.

Il tutto testimonia come, anche senza considerare i neomelodici, con 500 anni di storia la canzone napoletana sia ancora viva e attuale e rappresenti uno dei massimi vanti della città partenopea nel mondo.

In America, la musica Napoletana è ancora molto popolare , dai Casinò di Atlantic City fino alle strade dei quartieri italiani a New York fino e fino ai più remoti angoli della nazione.

Gli strumenti classici della canzone napoletana sono:
Mandolino
Chitarra
Calascione (nome assunto dal liutaio Calace) una sorta di antesignano del moderno basso
Triccheballacche, uno strumento a percussione in legno e piattini in alluminio
A questi si aggiungono tamorre (specie di tamburi) e tamburelli, caccavella o putipù, "Castagnelle" (nacchere) ed altri strumenti di fattura spesso artigianale. Col tempo a questi strumenti di origine popolare si sono aggiunti altri in epoca più moderna, come il pianoforte e la batteria.





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