IL CONTRABBANDO DI SIGARETTE




Negli anni settanta del XX secolo il contrabbando di sigarette proveniente per la maggiore dalla Puglia, "punto di arrivo" di questa attività, raggiunse livelli da economia sommersa che coinvolgevano un gran numero di persone soprattutto nelle tre città cui facevano capo le rotte di ingresso nel paese: Napoli, Venezia, Genova. Tale economia era ampiamente tollerata in periodo di grave crisi economica dalle forze dell'ordine in nome dell'"ammortizzatore sociale" teso a prevenire crimini maggiori ad opera delle persone coinvolte nel traffico. Infatti le operazioni di scarico in città avvenivano sotto gli occhi di tutti e le imbarcazioni stesse erano impunemente ormeggiate nei porti (fuorché a Venezia, dove chiunque poteva ormeggiarle sotto casa). Tali imbarcazioni partivano generalmente di notte in gran numero contemporaneamente uscendo dalle acque territoriali dove le aspettavano navi carretta battenti bandiere ombra, e dopo aver caricato tornavano in città incorrendo spesso in controlli della Guardia di Finanza.

E dire che solo tre anni fa la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla contraffazione del tabacco riteneva che quella del contrabbando fosse «un’epoca ormai chiusa definitivamente» perché il metodo «non costituirebbe più un vantaggio economico».

Le vie del tabacco saranno pure infinite ma portano tutte a Napoli. Per oltre un decennio il fenomeno del contrabbando di sigarette - uno dei motori principali dell'economia illegale della città - era stato messo da parte anche grazie ai successi investigativi e alle offensive giudiziarie che avevano stroncato uno dei traffici più redditizi per la camorra. Lasciato quasi in naftalina, ecco che oggi il gigantesco mercato delle “bionde” torna a rialzarsi e a fare paura, anche perché in un mondo sempre più globalizzato e scosso dai fermenti di una criminalità sempre più trasnazionale sono cambiati forme e modi di realizzazione dei reati.

Ma accanto alla impennata dei consumi di sigarette di contrabbando (segnalata anche da alcuni autorevoli osservatori internazionali) oggi bisogna fare i conti con un altro pericolo: quello della scarsa qualità dei prodotti e, sempre più spesso, del loro alto grado di tossicità. Perché è vero che fumare fa male, sempre e comunque: ma aspirare boccate di sigarette lavorate con sostanze velenose è sicuramente un rischio raddoppiato, se non triplicato.



Napoli è uno dei principali terminali dei nuovi traffici di sigarette prodotte in alcuni Paesi dell'Est europeo e persino dall'Estremo Oriente. Pacchetti con il logo di marche sconosciute finiscono così nei depositi della camorra, che continua a gestire l'affare sia in termini di importazione che di stoccaggio e gestione della merce sul territorio. Basta muoversi per i vicoli di Forcella, della Sanità, o attraVersare il mercato del Borgo Sant'Antonio Abate per rendersi conto di quale e quanta diffusione abbiano ormai queste sigarette. Thank you for smoking: e i signori che governano il mercato delle “bionde tossiche” ringraziano. I nomi vi diranno poco o niente: D&B, Yesmoke, 777, Cheal White, per non parlare della innumerevole sequenza di marche impronunciabili perché scritte in caratteri cirillici. Sulle bancarelle che sfilano, una dopo l'altra a distanza di soli dieci-quindici metri l'una dall'altra in quel salone di tabacchi virtuale che ci sono in tanti quartieri del centro storico di Napoli, l'offerta è vastissima e i prezzi ancor più convenienti: i pacchetti da venti sigarette vengono venduti a prezzi che oscillano dai 2 ai tre euro e cinquanta. Per non parlrare delle false Chesterfield e Marlboro: box perfettamente imitati in ogni particolare realizzati in Ucraina e in Cina, al cui interno naturalmente c'è un prodotto pessimo, scadente.

Sugli arrugginiti tavolini da pic nic, a bordo strada, sono sistemati i pacchetti di bionde e lo stesso senso di impunità. I motoscafi veloci volano sull’acqua, ridisegnano la rotta che è stata, identica, su e giù per l’Adriatico. Rewind. Il nastro si riavvolge e il Salento riscopre il contrabbando “old style”, il primo vero amore della Sacra Corona Unita. È un fuoco che si riaccende, con le stesse sembianze, quindici anni dopo quell’Operazione Primavera che ha ridato il sole a Brindisi, la più grande controffensiva di Stato alla mafia che si nutriva di tabacco e che per terra aveva lasciato anche le vite dei due finanzieri Alberto De Falco e Antonio Sottile, nel febbraio 2000.

A confermare la ripresa “non episodica” di quelle attività è stato il procuratore capo di Lecce, Cataldo Motta, nella relazione della Dda relativa al primo semestre 2014. “Le indagini – ha scritto – danno riscontro all’ipotesi di traffici contrabbandieri con le vecchie modalità e con carattere di stabilità”. Solo un dettaglio fa la differenza in questo salto all’indietro: non più Marlboro né Philip Morris né marche delle solite multinazionali. Stavolta, gli appetiti riguardano soprattutto sigarette italianissime, le Yesmoke, destinate al mercato dell’Est europeo, regolarmente spedite ai Paesi acquirenti senza contrassegno dei Monopoli di Stato e poi di nuovo trasportate in Italia clandestinamente. Stessa spiaggia, stesso mare. E stessi scafi.

Dal Montenegro alla Puglia meridionale. A fare da spia, tra il 2011 e il 2012, sono stati i banchetti per la minuta vendita ricomparsi a Brindisi e a Taranto, “una presenza inquietante, significativa di un ritorno al passato”. I numeri fugano ogni dubbio: solo nel 2013 e solo nel circondario brindisino, sono state messe sotto chiave tre tonnellate di sigarette in diciannove interventi diversi, dai sei chili sequestrati al “minutante” ai 1500 ritrovati a bordo di un motoscafo che attraversava il Canale d’Otranto. Altri 638 chili sono stati rintracciati nel Tarantino, a terra. Menti e braccia sono a km zero e spesso vecchie conoscenze, come hanno rivelato, nel settembre 2013, i quaranta arresti che hanno ricomposto il puzzle: l’sos lanciato da una zattera di fasulli naufraghi brindisini e baresi, al largo di Monopoli, è un pezzo che combaciava con l’affondamento di un carico di 1590 stecche di bionde in acque croate.

Base di partenza: l’isola montenegrina di Sveti Nikola, che ha dato il nome all’operazione della Dda. L’affare dei tabacchi lavorati esteri ricalca, dunque, le sue orme. Aveva cambiato rotta, spostandosi sulla via turco-greca, dopo il 1999. Da un lato, l’accordo con l’Italia aveva indotto il Montenegro a espellere i latitanti, una trentina, che da lì gestivano il mercato nero. Dall’altro, la guerra in Kosovo e l’embargo avevano prosciugato gli stoccaggi sull’altra sponda, tanto che il porto di Bari aveva smesso di essere lo snodo. Al suo posto, le isole elleniche, scudo per le cosiddette navi-madri fatte stazionare in alto mare per il trasbordo della merce sui gommoni. E poi l’alternativa più sicura, i carichi occultati nei tir imbarcati sui traghetti in partenza da Igoumenitsa e Patrasso e diretti al nord, bypassando la Puglia.

Dei trafficanti napoletani i pugliesi hanno assimilato le tecniche, per non essere solo manovalanza. E hanno fatto girare moneta, a fiumi: mille miliardi di lire solo nel 1995 e solo nel Brindisino, un settimo del Pil di quella provincia industriale, stando alla stima della commissione parlamentare antimafia del 2001. Il core business della Scu, ma anche il pane per 5mila famiglie. Ecco perché quel tipo di contrabbando è un déjà vu che vale un incubo: è una vecchia grammatica che rischia di riabilitare i canoni di una Sacra corona ‘sociale’, diffonderne il consenso. Non a caso torna a ritagliarsi un ruolo adesso, nel momento in cui la quarta mafia è riuscita a scivolare sottopelle grazie a quello che Motta, in un’allarmante definizione, ha definito “assuefatto disinteresse della popolazione alla presenza criminale”. 




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