I RE MAGI
« Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: "Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo". All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: "A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
“E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele.”
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: "Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo". Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese. Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: "Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo". Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto »
Magi è la traslitterazione del termine Persiano antico magush, Accadico magushu, Siriaco mgosha, passati al Greco màgos.Si tratta di un titolo riferito specificamente ai sacerdoti dello Zoroastrismo tipici dell'Impero persiano.
"I tre re pagani vennero chiamati Magi non perché fossero versati nelle arti magiche, ma per la loro grande competenza nella disciplina dell'astrologia. Erano detti magi dai Persiani coloro che gli Ebrei chiamavano scribi, i Greci filosofi e i latini savi" —Ludolfo di Sassonia (m. 1378), Vita Christi.
In alcune versioni meno recenti delle Scritture, ad esempio la Bibbia di re Giacomo, i Magi sono indicati come Uomini Saggi, un termine arcaico per indicare i maghi o magi, con il carattere di filosofi, scienziati e personaggi importanti. Nella Bibbia di re Giacomo, lo stesso termine greco magos che nel Vangelo secondo Matteo viene tradotto con "saggio", è reso con "stregone" negli Atti degli Apostoli (episodio di "Elimas il mago", Atti 13). Lo stesso termine greco identifica anche Simon Mago in Atti 8. Oggi il significato più profondo è ormai dimenticato e, quindi, tutte le traduzioni moderne usano il termine di derivazione greca, magi.
In Erodoto la parola magoi era associata a personaggi dell'aristocrazia della Media ed, in particolare, ai sacerdoti astronomi della religione zoroastriana, che erano anche ritenuti capaci di uccidere i demoni e ridurli in schiavitù. Poiché il passo di Matteo implica che fossero dediti all'osservazione delle stelle, la maggioranza dei commentatori ne conclude che il significato inteso fosse quello di "sacerdoti di Zoroastro", e che l'aggiunta "dall'Oriente" ne indicasse naturalmente l'origine persiana. Addirittura, la traduzione dei Vangeli di Wycliffe parla direttamente di "astrologi", non di "saggi". Nel XIV secolo la distinzione tra astronomia e astrologia non era ancora riconosciuta, e le due discipline cadevano entrambe sotto la seconda denominazione.
Anche se il sostantivo maschile magi è stato usato un paio di volte in riferimento a una donna (nell'Antologia Palatina e in Luciano), l'appartenenza alla classe dei magi era riservata ai maschi adulti. Gli antichi magi erano persiani, e poiché i territori ad oriente della Palestina biblica coincidevano con l'impero persiano, ci sono pochi dubbi sull'origine etnica e sulla religione di appartenenza dei personaggi descritti nel vangelo di Matteo.
Si noti come il termine magi sia una traduzione artificiosa atta ad evitare il termine piuttosto sgradevole di maghi che indicava i ciarlatani e gli imbroglioni.
La regalità dei "magi" non è attestata nelle fonti canoniche cristiane, né dai Padri della Chiesa, tuttavia i "magi" divengono Re magi nella tradizione liturgica cristiana in quanto la festa della Epifania è collegata al Salmo LXXI (LXXII),10:
« Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte, i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi. »
(Libro dei Salmi, LXXI (LXXII),10).
Gli storici e alcuni biblisti cristiani interpretano il racconto evangelico come un particolare leggendario, mentre altri biblisti cristiani e il Magistero della Chiesa cattolica ne sostengono la veridicità. Il particolare ha comunque avuto una straordinaria fortuna artistica, in particolare nelle rappresentazioni della natività e del presepe.
Il racconto evangelico li descrive in maniera estremamente scarna e la successiva tradizione cristiana vi ha aggiunto alcuni particolari: erano tre (sulla base dei tre doni portati, oro, incenso e mirra), erano re e si chiamavano Melchiorre, Baldassarre e Gaspare.
Il passo di Matteo non fornisce il numero esatto dei Magi ma la tradizione più diffusa, basandosi sul fatto che vengono citati tre doni, parla di tre uomini. In realtà, il testo greco non ne indica né il numero né tantomeno i nomi; parla solo di "Magi dall'Oriente". Il testo non specifica neanche l'intervallo di tempo trascorso tra la nascita di Gesù e l'arrivo a Betlemme dei Magi. Dal vangelo secondo Luca sappiamo che Giuseppe, Maria e Gesù rimasero a Betlemme almeno 40 giorni, cioè sino alla Presentazione al Tempio. Secondo alcuni autori che hanno proposto l'armonizzazione degli eventi raccontati dai Vangeli, la visita dei Magi e l'immediatamente successiva fuga in Egitto dovrebbero aver avuto luogo dopo questo evento (al termine del quale la famiglia di Gesù sarebbe rientrata a Betlemme), in contrasto con la tradizione liturgica, che lascia solo dodici giorni fra Natale ed Epifania. È stato anche ipotizzato che la visita dei Magi sia avvenuta a Nazaret: essi si sarebbero recati a Betlemme, ma non vi avrebbero trovato Gesù, già ripartito con i suoi; usciti dalla città, sarebbero stati guidati dalla stella fino a Nazaret.
L’esegesi storico-critica, a partire dal XIX secolo, ha proposto dei criteri per distinguere i fatti storici probabilmente accaduti da altri racconti creati dalle primitive comunità cristiane o dagli evangelisti stessi. In questa prospettiva, un gran numero di biblisti contemporanei sottolinea che, nel caso di Mt 2, non ci si trova di fronte ad una cronaca, ma ad una composizione didascalica, midrashica: una "costruzione" letteraria che è stata pensata per fornire un insegnamento. Chi avrebbe scritto e redatto la "novella teologica" dei Magi a Betlemme aveva alle spalle "storie" simili nelle letterature religiose del tempo, e soprattutto aveva alle spalle una evidenza inconfutabile: Gesù, considerato l'inviato di Dio, fu respinto dal potere sia politico sia religioso. E se i maestri del Giudaismo, in larga misura, avevano rifiutato Gesù, lo avevano accolto persone che, per lo più, erano marginali, senza "titoli" particolari. Con un procedimento letterario chiamato retroproiezione, dunque, l’evangelista avrebbe collocato all'inizio della vita di Gesù ciò che sarebbe poi successo durante tutti gli anni della sua esistenza: in Erode e nell’ambiente di Gerusalemme il racconto vede l'opposizione del potere politico e religioso, mentre i Magi che "vennero da lontano" sarebbero i rappresentanti di tutte quelle persone che "vengono da lontano", che a quel tempo erano guardate con sospetto. Il testo evangelico, infatti, mostra chiaramente che i Magi sono dei "gentili" (non ebrei): gli studiosi Raymond Brown e Ortensio da Spinetoli, tra gli altri, fanno notare come nel racconto i Magi si rivolgano agli Ebrei in veste di stranieri e non sembrino conoscere le Sacre Scritture ebraiche.
Gli studiosi più legati alla tradizione ritengono che l'avvenimento sia storicamente accaduto, tuttavia fanno notare che non si tratta di un aspetto centrale della fede cristiana, pertanto, anche se fosse un fatto leggendario con un significato teologico, per il credente non cambierebbe nulla.
Se è vero che il brano evangelico non riporta il numero esatto dei Magi, la tradizione popolare cristiana li ha spesso identificati come i tre saggi o i tre re e ha assegnato loro i nomi di Melchiorre, Baldassarre e Gaspare. Esistono comunque tradizioni alternative che portano i magi in visita a Gesù in numero minore (due) o maggiore (fino a dodici).
Fin dai primi secoli del Cristianesimo ai Magi sono stati associati gli atteggiamenti positivi della ricerca della luce spirituale e del rifiuto delle tenebre: addirittura si riteneva che con la loro opera avessero contribuito a cacciare i demoni verso gli Inferi. E, poiché erano sacerdoti, sebbene zoroastriani, seguendo la stella e raggiungendo il neonato re di Israele, lo avrebbero anche riconosciuto come dio, anzi, come l'unico Dio venerato anche dalla rivelazione zoroastriana. Quindi i Magi sarebbero arrivati presso la mangiatoia di Betlemme con piena coscienza dell'importanza religiosa e cosmica della nascita del Cristo.
In effetti, per il Vangelo di Matteo i Magi sarebbero stati le prime autorità religiose ad adorare il Cristo e quindi, dei tre doni che essi portavano con sé, da questo punto di vista, il più importante era l'ultimo, la mirra. Si tratta di una pianta medicinale da cui si estrae una resina gommosa, che veniva mescolata con oli per realizzare unguenti a scopo medicinale, cosmetico e anche religioso: la parola Cristo significa proprio unto, consacrato con un simbolico unguento, un crisma, per essere re, guaritore e Messia di origine divina.
Per tutte queste ragioni, il racconto dei Magi gode di un particolare rispetto presso le popolazioni cristiane. Nel calendario liturgico dei cattolici e di altre Chiese cristiane, la visita dei Magi a Gesù bambino viene commemorata nella festa dell'Epifania, il 6 gennaio. La Chiesa ortodossa e altre Chiese di rito orientale (che nell'Epifania ricordano il Battesimo di Cristo nel Giordano) commemorano la venuta dei Magi nel giorno stesso del Natale.
Il tema è ricorrente nelle rappresentazioni artistiche e letterarie di ispirazione cristiana sotto il nome di Adorazione dei Magi.
A partire dalle poche informazioni neotestamentarie, la tradizione cristiana ha arricchito la storia dei magi di molti dettagli. Una delle evoluzioni più rilevanti è il passaggio dalla condizione di astrologi a quella di re. L'opinione più accreditata è che si tratti di un richiamo alle profezie dell'Antico Testamento che parlano dell'adorazione del Messia da parte di alcuni re (Isaia 60:3, Salmi 72:10 e 68:29). I primi esegeti avrebbero, dunque, reinterpretato il passo di Matteo alla luce di queste profezie elevando i Magi al rango di re. Il biblista Mark Allan Powell rifiuta però questa interpretazione, sostenendo che l'idea di un'autorità regale dei Magi è di molto successiva, addirittura posteriore a Costantino, e strumentale alla giustificazione del ruolo dei monarchi cristiani. Già dal 500, comunque, tutti i commentatori adottarono la versione più diffusa che parlava di tre re, che non venne messa in discussione fino alla Riforma protestante. Un'ulteriore evoluzione vuole che i Magi provenissero da paesi lontani posti nei tre continenti allora noti (Europa, Asia e Africa), a significare che la missione redentrice di Gesù era rivolta a tutte le nazioni del mondo. Per questo motivo i tre re sono raffigurati in genere come un bianco, un arabo e un nero.
In un inno religioso del poeta iberico Prudenzio, della fine del IV secolo, si ritrova già l'interpretazione medievale dei doni come emblemi profetici dell'identità di Gesù, ripresa anche in canti popolari molto più tardi (ad es. "We Three Kings" di John Henry Hopkins, Jr., 1857). L'incenso, che veniva usato nel tempio, indica il sacerdozio di Gesù; l'oro ne indica la regalità; la mirra, usata nella preparazione dei corpi per la sepoltura, indica l'espiazione dei peccati attraverso la morte. Nei primi secoli dell’èra cristiana furono scritti altri antichi testi significativi sui Magi: l’Opus imperfectum in Matthaeum (opera latina anteriore al secolo VII), La Vita di Adamo ed Eva, il Libro della rivelazione di Adamo al figlio Seth trovato nella biblioteca gnostica copta di Nag Hammadi nel 1945, Il Protocollo Etiopico di San Giacomo, Il Vangelo degli ebrei e Nazareth e La Caverna dei Tesori, quest‘ultimo un importante testo siriaco del VI secolo. Il Libro della Caverna dei Tesori per la prima volta rappresenta i Magi come Caldei e li definisce "re e figli di re". Attorno ai Magi nasce poi anche il culto del Fuoco sacro di cui testimoniano un manoscritto uigurico di origine siriaca-nestoriana scoperto a Turfan, l'Evangelo arabo dell'Infanzia (capp. VII-VIII) che è un vangelo apocrifo, l'etiopico Liber Nativitatis Mariae Virginis ("Libro della Natività di Maria Vergine"), Il Milione di Marco Polo (capp. XXII-XXIII).
Anche se non è citato nel Corano, il racconto dei Magi era ben conosciuto in Arabia. L'enciclopedista arabo al-Tabari, nel IX secolo, riferisce dei doni portati dai Magi attribuendo loro il simbolismo che ci è usuale e citando come fonte il tradizionista perso-arabo yemenita del VII secolo Wahb ibn Munabbih.
Diversamente dai vangeli canonici, sono molti i riferimenti ai Magi nei vangeli apocrifi, in alcuni dei quali possiamo trovare l’origine delle immagini che nel corso dei secoli hanno avuto una grande popolarità, fino a diventare parte integrante della cultura cristiana canonica.
Marco Polo afferma di aver visitato le tombe dei Magi nella città di Saba, a sud di Teheran, intorno al 1270: "In Persia è la città ch'è chiamata Saba, da la quale si partiro li tre re ch'andaro adorare Dio quando nacque. In quella città son soppeliti gli tre Magi in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti interi con barba e co' capegli: l'uno ebbe nome Beltasar, l'altro Gaspar, lo terzo Melquior. Messer Marco dimandò più volte in quella cittade di quegli III re: niuno gliene seppe dire nulla, se non che erano III re soppelliti anticamente." (Il Milione, cap. 30).
Quella di Marco Polo non è tuttavia l'unica testimonianza sul luogo di sepoltura dei Magi. Nel transetto della basilica romanica di Sant’Eustorgio a Milano si trova la “cappella dei Magi”, in cui è conservato un colossale sarcofago di pietra (vuoto), risalente al tardo Impero Romano: la tomba dei Magi. Secondo le tradizioni milanesi, la basilica sarebbe stata fatta costruire dal vescovo Eustorgio intorno all’anno 344: la volontà del vescovo era quella di esservi sepolto, dopo la sua morte, vicino ai corpi dei Magi stessi. Per questo motivo, con l’approvazione dell’imperatore Costante avrebbe fatto giungere i loro resti dalla basilica di Santa Sofia a Costantinopoli (dove erano stati portati alcuni decenni prima da sant'Elena, che li aveva ritrovati durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa).
Nel 1162 l’imperatore Federico Barbarossa fece distruggere la chiesa di Sant'Eustorgio (come pure gran parte delle mura e degli edifici pubblici di Milano) e si impossessò delle reliquie dei Magi. Nel 1164 l'arcicancelliere imperiale Rainaldo di Dassel, arcivescovo di Colonia ne sottrasse i corpi e li trasferì, attraverso Lombardia, Piemonte, Borgogna e Renania, fino al duomo della città tedesca, dove ancora oggi sono conservate in un prezioso reliquiario.
Ai milanesi rimase solo la medaglia fatta, sembra, con parte dell'oro donato dai Magi al Signore, che da allora venne esposta il giorno dell'Epifania in Sant'Eustorgio accanto al sarcofago vuoto. Negli anni successivi Milano cercò ripetutamente di riavere le reliquie, invano. Né Ludovico il Moro nel 1494, né Papa Alessandro VI, né Filippo II di Spagna, né Papa Pio IV, né Gregorio XIII, né Federico Borromeo riuscirono a far tornare le spoglie in Italia.
Solo nel ventesimo secolo Milano riuscì ad ottenere una parte di quello che le era stato tolto: il 3 gennaio del 1904, infatti, il cardinal Ferrari, Arcivescovo di Milano, fece solennemente ricollocare alcuni frammenti ossei delle spoglie dei Magi (due fibule, una tibia e una vertebra), offerti dall'Arcivescovo di Colonia Fischer, in Sant'Eustorgio. Furono posti in un'urna di bronzo accanto all'antico sacello vuoto con la scritta “Sepulcrum Trium Magorum” (tomba dei tre Magi).
Ancora oggi molti luoghi in Italia, Francia, Svizzera e Germania si fregiano dell'onore di avere ospitato le reliquie durante il tragitto delle spoglie dei Magi da Milano a Colonia e in molte chiese si trovano ancora frammenti lasciati in dono. La testimonianza di questo passaggio si trova anche nelle insegne di alberghi e osterie tuttora esistenti, come «Ai tre Re», «Le tre corone» e «Alla stella». Brugherio conserva in un reliquiario del XVIII secolo le falangi dei Re Magi.
Nella cattedrale della città tedesca di Colonia è dunque conservata l'arca che conterrebbe, secondo la tradizione, le reliquie dei Magi, dopo che Federico Barbarossa ordinò al suo consigliere Reinald von Dassei, che era anche arcivescovo di Colonia, di portarle in Germania dopo la conquista di Milano nel 1164 al fine di rafforzare il prestigio della corona imperiale. Da allora le reliquie riposano a Colonia in un'arca preziosa d'argento dorato, fatta confezionare dal successore di Reinald, Filippo di Heinsberg, nella chiesa di San Pietro, trasformata successivamente nella cattedrale gotica di Colonia.
Tuttavia a Milano il culto dei Magi rimase vivo. Il cronista Galvano Fiamma racconta nel 1336 che si celebrava ancora un corteo dei Magi a cavallo attraverso la città. Una versione ben nota del dettagliato racconto è quella contenuta nella Historia Trium Regum (Storia dei tre re) del chierico del XIV secolo Giovanni di Hildesheim.
Le Chiese orientali assegnano vari nomi ai Magi, ma nella tradizione occidentale si sono affermati i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. In altre culture i nomi sono ancora diversi, ad esempio la Chiesa cattolica etiope li chiama Hor, Basanater e Karsudan.
Nessuno dei nomi accreditati è di chiara origine persiana, né si può dire che abbia un significato specifico; tuttavia, Gaspare può essere una variante della parola persiana Jasper - "Signore del Tesoro" - da cui deriva anche il nome del diaspro. In Siria la comunità cristiana chiama i Magi Larvandad, Hormisdas e Gushnasaph. Questi ultimi nomi sono, probabilmente, di origine persiana, il che naturalmente non è sufficiente a garantire la loro autenticità.
Il primo nome, Larvandad, è una combinazione di Lar, una regione nei pressi di Teheran, e vand o vandad, un suffisso comune in medio-persiano che significa "collegato con" o "situato in". Lo stesso suffisso si ritrova anche nei toponimi iraniani come Damavand, Nahavand e Alvand e in alcuni nomi e titoli quali Varjavand e Vandidad.
In alternativa, potrebbe essere una combinazione di Larvand (ovvero la regione di Lar) e Dad ("dato da"). Quest'ultimo suffisso si ritrova anche nei nomi iraniani "Tirdad", "Mehrdad", "Bamdad" e in toponimi come "Bagdad" ("Data da Dio"), un tempo in Iran, ora Baghdad in Iraq. Il nome vorrebbe, quindi, dire 'nato nella', o 'dato dalla' regione di Lar.
Il secondo nome, Hormisdas, è una variante del nome persiano Hormoz, in Medio Persiano Hormazd e Hormazda. Il nome si riferiva all'angelo del primo giorno di ciascun mese, il cui nome era stato dato dal Dio supremo, il cui nome era "Ahura Mazda" o "Ormazd" in Antico persiano.
Il terzo nome, Gushnasaph, era un nome di persona diffuso nell'antico e nel medio-persiano, corrispondente all'attuale Gushnasp o Gushtasp. È formato dalla radice Gushn, "pieno di qualità virili" o "pieno di desiderio o di energia" per qualcosa, e dalla parola Asp (in persiano moderno: Asb), cavallo. L'animale era di grande importanza per le genti iraniche, e il relativo suffisso si ritrova in molti nomi usati nella regione, tra cui gli attuali Lohrasp, Jamasp, Garshasp e Gushtasp. Il nome potrebbe, quindi, tradursi "persona con l'energia e la virilità di un cavallo" o "desideroso di avere dei cavalli". In alternativa, poiché Gushn risulta anche usato per indicare "molti", potrebbe essere più semplicemente "possessore di molti cavalli".
Giuseppe Tucci e Mario Bussagli, orientalisti, hanno ipotizzato di riconoscere in Gaspare un sovrano indoiranico di stirpe kushana, Gundophar, vissuto nel I secolo d.C., che sembra aver appoggiato la missione in India dell'apostolo San Tommaso.
Non erano re, non è detto che fossero tre e certamente non seguirono una cometa. Che venissero dalla Persia o dalla Mesopotamia è solo un’ipotesi; che si chiamassero Melchiorre, Baldassarre e Gaspare una leggenda; che uno di loro fosse di pelle nera, una fantasiosa invenzione. Benché siano citati da un solo vangelo su quattro (Matteo), che dedica loro dodici versetti in tutto (2: 1-12), l’aneddoto che li riguarda è uno dei più popolari (e falsificati) della storia sacra. Ma allora, i Magi sono davvero esistiti?
Se usiamo la “m” minuscola, la risposta è sì. Fuori dal vangelo, infatti, i magi erano i sacerdoti dei Medi, avi degli attuali Curdi: un popolo montanaro che nel VI secolo a. C. fu sottomesso dai Persiani. Il greco Erodoto dice che interpretavano i sogni e studiavano gli astri. Che dio adorassero in origine, non è chiaro; ma in tempi storici praticavano il mazdeismo, religione che aveva il suo profeta in Zoroastro e il suo simbolo nel fuoco.
Di certo, però, quegli astronomi-indovini-sacerdoti non furono mai re. O meglio: un’eccezione alla regola ci fu, nel 522-521 a. C., quando uno strano mago, donnaiolo e mutilato delle orecchie, tale Smerdi àlias Gaumata, scippò il trono e l’harem a re Cambise II, assente da casa, cercando poi consensi al golpe col metodo più vecchio del mondo, cioè abbattendo le tasse. Narra Erodoto: “Mandò qua e là a ogni popolo sotto il suo dominio a proclamare che concedeva l’esenzione dal servizio militare e dai tributi per tre anni”.
Quell’unico “re magio” della Storia non poté mantenere la promessa, perché durò solo 7 mesi; poi finì decapitato. Non lo imitò più nessuno, anche perché contro i magi scattarono persecuzioni. Ma ai tempi di Gesù tutto ciò era preistoria: l’Impero persiano era finito da un pezzo e i magi avevano ripreso i loro riti e i loro studi astronomici; avevano quindi tutti i titoli per fare da protagonisti in un racconto “magico” come quello a noi noto.
Il testo di Matteo è però attendibile? Gli storici sono scettici. «Tutto lascia pensare» osserva Mauro Pesce, docente di Storia del cristianesimo a Bologna «che la vicenda dei Magi sia solo un artificio letterario-propagandistico. Matteo scrisse intorno all’anno 80, quando la nuova religione si stava diffondendo fuori dalla Palestina. Probabilmente il suo vangelo volle lanciare un messaggio ai non-Ebrei, dicendo che Gesù si era rivelato anche e soprattutto a loro: infatti per gli Ebrei i magi erano “gentili”, cioè pagani; eppure, secondo Matteo, seppero dell’arrivo del Messia prima del clero di Gerusalemme».
«Nel racconto evangelico» aggiunge Francesco Sforza Barcellona, docente di Storia del cristianesimo all’Università di Roma-Tor Vergata «ci sono messaggi in codice anche per gli Ebrei. Evidente è lo sforzo di far quadrare la figura di Gesù con le profezie bibliche. Per esempio nel Salmo 71 (ora 72) si prediceva che al Messia sarebbe stato donato “oro d’Arabia” e che “i re degli Arabi e di Saba” (leggi Yemen) gli avrebbero “offerto tributi”. Ed ecco l’adorazione dei Magi, che con il loro oro “legittimano” Gesù in base ai parametri biblici».
Ma se Matteo è così scarno di notizie, da dove vengono tutti i dettagli della tradizione? Dagli apocrifi, ricchi di “notizie” divertenti quanto fantasiose. Per esempio il Vangelo armeno dice di sapere la durata del viaggio dei Magi (9 mesi) e i loro nomi e fa l’inventario del carico della loro carovana, che trasportava più merci di un corteo di camion dell’Esselunga: oltre a oro, incenso e mirra aveva con sé anche aloe, porpora, mussolina, nardo, cannella, cinnamomo, argento, zaffiri, perle, lino e libri esoterici.
Non è tutto: nello stesso testo si legge che i Magi erano tre fratelli, re di Arabi, Indi e Persiani; che avevano un seguito di 12 mila cavalieri; che a Betlemme furono preceduti addirittura da Eva, risorta per l’occasione; infine che la rabbia di Erode per la nascita del Messia fu tale da causare un terremoto. Altrettanto fantasioso è il Vangelo arabo-siriaco, secondo cui i Magi tornarono in patria con un pannolino di Gesù, che tentarono poi di bruciare ritualmente sul fuoco sacro. Invano: le fiamme si spegnevano e il pannolino restava intatto.
È chiaro che tutto ciò non ha alcun valore storico, neanche alla lontana: prova solo lo sforzo di far giungere il messaggio cristiano ai popoli orientali usando temi e simboli a loro familiari. Per esempio la storia del pannolino incombustibile era un’evidente allegoria, studiata per dire ai Persiani che Gesù era più potente del loro fuoco sacro. E la maxi-scorta dei 12 mila cavalieri era un tentativo di conciliare Cristo con una profezia di Zoroastro, secondo cui l’arrivo del Saoshyant (il Messia mazdeista) sarebbe stato accolto con onori regali.
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